Dimitrios Keramidas, Settimana News
Il documento «Sinodalità e primato nel
primo millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità
della Chiesa» si inserisce nella serie dei documenti della Commissione
mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e
quella Ortodossa (tutti i documenti di tale Commissione sono reperibili
alla pagina web
del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani).
A
Chieti si è voluto continuare il dialogo bilaterale avviato nel 1980 e
concentrarsi con «spirito positivo» su temi riguardanti la natura
sacramentale della Chiesa (cf. qui l’intervista
al teologo Piero Coda). In altri documenti della Commissione mista – di
Monaco (1982), di Bari (1987), di Valamo (1988) e di Ravenna (2007) –
si possono trovare analoghi accenni alla Trinità come fonte dei
sacramenti, dell’ordine sacerdotale e del governo ecclesiale. Il
documento di Chieti riprende, quindi, le medesime tracce e le espone in
maniera sintetica, alla ricerca di una visione comune sull’esercizio
dell’autorità nella Chiesa. Il testo deve essere apprezzato proprio per
lo sforzo mostrato da ambedue le parti di approfondire teologicamente le
istituzioni ecclesiastiche, inquadrandole nelle istanze carismatiche
dell’evento ecclesiale, senza però perdere di vista la dimensione
storica che ne contestualizza la funzione: teologia e storia sono
altrettanto decisive nella comprensione della spiritualità cristiana e
della legislazione ecclesiastica (§6).
Aspetti condivisi
Rispetto ai precedenti testi il
documento di Chieti è più breve e meno ardito teologicamente e non
sembra in prima lettura offrire spunti originali. Probabilmente hanno
pesato le difficoltà riscontrate nella fase redazionale del testo e la
mancata recezione del documento di Ravenna da parte di alcune Chiese
ortodosse. Perciò, si è optato per una versione più attenuata che
tuttavia conserva le linee-guida di Ravenna e dei documenti degli anni
Ottanta, cercando di individuare i punti di convergenza tra le Chiese.
Il testo esamina la relazione tra primato e conciliarità nella Chiesa
indivisa del primo millennio a livello locale, regionale e universale.
Vi sono, in particolare, accenni ai fondamenti sacramentali e trinitari
della comunione e unità ecclesiale (§1), il riferimento alla sinodalità
quale «qualità fondamentale della Chiesa nel suo insieme» (§3), il
rinvio al canone apostolico 34 come base per comprendere il rapporto tra
il «primo» e i «molti» di un concilio (§13), il riconoscimento
dell’origine eucaristica del ministero episcopale (§§8-10) e il
riferimento alla cosiddetta «pentarchia» del primo millennio (§16). Si
afferma che la vita ecclesiale scaturisce da un elemento focale (la
sinassi eucaristica) per evolversi gradualmente fino all’incontrare le
altre Chiese locali – nella persona dei rispettivi vescovi – e arrivare
alla Chiesa universale, ovvero all’ecumene cristiana, in cui «i
vescovi dell’Oriente e dell’Occidente erano consapevoli di appartenere
all’unica Chiesa» (§20). Si tratta, in altre parole, di principi cari
all’ecclesiologia ortodossa che non dovrebbero creare particolari
difficoltà di ricezione.
Nodi critici
Il nodo nel rapporto tra primato e
sinodo (consueto campo di resistenza di alcuni ortodossi) resta la
questione sulla funzione del vescovo di Roma nel contesto della Chiesa
universale del primo millennio e se il suo primato di onore implicasse o
meno delle prerogative canonico-giurisdizionali in Oriente. Le due
parti si sono limitate ad affermare che «il primato del vescovo di Roma
tra i vescovi fu gradualmente interpretato come una prerogativa
derivante dal fatto che egli era il successore di Pietro, il primo tra
gli apostoli. Tale comprensione non fu adottata in Oriente, che su
questo punto interpretò diversamente le Scritture e i Padri», auspicando
di tornare su questo argomento «nel futuro» (§16). Sebbene tali
problemi storico-ermeneutici impediscano tuttora il raggiungimento di
una visione condivisa sul primato, ci si augura che le dichiarazioni e i
gesti di papa Francesco in favore della sinodalità potranno ricondurre
il dibattito verso più ampie convergenze.
Le sfide per gli ortodossi
Il recente Santo e grande concilio
ortodosso di Creta, ha dato alle Chiese ortodosse la possibilità di
pensare, esprimersi e agire a una voce. E tuttavia il Concilio di Creta
ha registrato anche dissensi (delle Chiese assenti e dei circoli
anti-ecumenici e tradizionalisti), mostrando che anche per gli ortodossi
esiste un problema di realizzazione della sinodalità. In questo senso,
il cammino di Roma verso la conciliarità e quello dell’Ortodossia dal
«plurale» delle Chiese-nazionali al «singolare» della conciliarità
potranno favorire una riconsiderazione del rapporto tra primato e sinodo
in modo che il primo non offuschi il secondo (e viceversa), ma che il
loro rapporto sia organico e complementare, nella corresponsabilità del
«primo» e dei «molti» a osservare lo spirito della Chiesa
indivisa. Con ciò anche l’intento di costruire l’unità acquisirebbe un
senso concreto e reale, ben oltre le opinioni di quei teologi o gerarchi
che – favoriti da una certa insufficienza nella comunicazione dei
dibattiti ecumenici alla base ecclesiale – si dichiarano pronti a
difendere la purezza della fede da… qualsiasi tradimento. Solo un
dialogo in cui gli interlocutori accettino ciò che è conforme alla
sostanza della fede cristiana può porsi a servizio della logica
dell’unità e non di quella della perpetuazione dei contrasti
apologetici.
Con lo sguardo al futuro
I documenti della Commissione mista
esortano i vertici ecclesiastici a rendere partecipe la comunità
teologica, il popolo, il clero, il mondo monastico della dinamica del
dialogo teologico. Un ecumenismo edificato sulle tracce della sinodalità
necessita il coinvolgimento di tutto il pleroma ecclesiale – e non
soltanto di alcuni tecnici – nella causa dell’unità. È questo, a nostro
avviso, il traguardo principale che l’Ortodossia dovrebbe darsi dopo che
il Concilio di Creta ha ufficialmente dichiarato l’ecumenismo «non in
contrasto» con la natura della Chiesa ortodossa. La sterile
contestazione dei frutti del dialogo ecumenico è una rinuncia al respiro
universale dell’Ortodossia, legittima la mentalità divisoria del
tradizionalismo e dell’etnofiletismo, rende invalida la recezione del
Concilio e priva la Chiesa di quel carattere profetico che è garantito
dal sistema sinodale! Sarà questa la pista sulla quale, d’ora innanzi,
si affronteranno cattolici e ortodossi.
Dimitrios Keramidas è docente alla Hellenic Open University; si occupa di Missiologia, Teologia ecumenica e Teologia greca moderna. Ha recentemente pubblicato Ortodossia greca ed Europa. Percorsi teologici, approcci ecclesiastici, prospettive ecumeniche (Cittadella, 2016).